I documenti della Commissione non citano esplicitamente la Cina, ma il pacchetto punta a rafforzare la manifattura europea (batterie, acciaio low-carbon, piccole elettriche “M1E”) e a rendere più competitivo l'ecosistema, in un contesto in cui sono già attivi dazi antisovvenzioni sulle elettriche importate dalla Cina.
Se i criteri “Made in UE” diventeranno stringenti, produrre un'elettrica potrebbe costare di più nel breve periodo, comprimendo i margini o spingendo i listini verso l'alto, con possibili riflessi sulla domanda e sulla velocità della transizione. In parallelo, non si può escludere un protezionismo riflesso da parte di altri blocchi. Sono rischi plausibili, ma dipenderanno da come verranno scritti i requisiti e da quali incentivi/leve fiscali accompagneranno il cambio.
La filiera auto europea è profondamente integrata a livello globale: minerali e terre rare, componenti critici e know-how attraversano confini. Stabilire con precisione che cosa sia “europeo” lungo tutta la supply chain richiede tracciabilità e metodologie condivise (si pensi al passaporto digitale delle batterie e agli atti delegati in via di adozione).
Finora l'UE ha spinto i costruttori (lato offerta); domani metterà obiettivi nazionali obbligatori per le grandi imprese (lato domanda), chiedendo più immatricolazioni di veicoli a basse/zero emissioni.
E c'è un passaggio chiave: gli aiuti pubblici ai veicoli corporate - acquisto, leasing o noleggio - dovranno andare solo a mezzi “verdi” prodotti nell'UE. Non sono menzionate multe immediate, ma reporting e monitoraggio saranno serrati.
Con un punto di partenza più debole sulle elettriche aziendali, l'Italia dovrà muoversi su due binari: incentivi mirati e riforma fiscale dell'auto aziendale (deducibilità, fringe benefit, ammortamenti), per allinearsi alle best practice europee e non perdere il treno delle flotte green.