Vavassori (Anfia): phase out al 2040 e 25% di termico non fossile


Data inizio: 09-12-2025 - Data Fine: 09-02-2026


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Rispetto a un anno fa la situazione, dal punto di vista della produzione auto in Italia, è persino peggiorata…

Credo che il 2025 sarà l'anno di minima produzione sotto la quale non potremo andare. Sapevamo di avere di fronte una traversata del deserto. Solo che ci siamo arrivati con le borracce vuote. A questo si sono aggiunti i ritardi richiesti dalla parziale re-ingegnerizzazione delle piattaforme, che per fortuna c'è stata e sta prendendo piede per offrire una varietà di motorizzazioni diverse dal solo elettrico, ma che ha richiesto altro tempo. Nel frattempo, il mercato non è andato come ci aspettavamo. Però, senza dubbio, il 2025 per l'Italia dev'essere ritenuto il punto di minimo storico. Altrimenti la filiera è a rischio. Sappiamo che Stellantis darà la giusta considerazione al nostro Paese. Ha più di 50 fabbriche in giro per il mondo. In Italia ce ne sono cinque, quindi il 10% o poco più della capacità produttiva. Tornare a un 10% di produzione sarebbe un buonissimo risultato.

Un grande risultato…

Mettere insieme un mosaico coerente di 50 stabilimenti con una situazione di mercato come questa non è facile e non mi stupisce che vengano annunciati investimenti negli Stati Uniti, pienamente coerenti con la politica dell'amministrazione americana e con gli obiettivi di mercato in Nordamerica di Stellantis. Certo, ogni volta che muovi una pedina scontenti la casella che lasci vuota. Al ministro Urso abbiamo detto: bisogna prestare la massima attenzione ai veicoli commerciali leggeri, che hanno un grosso contenuto di componentistica italiana. Ce la dobbiamo vedere con la Polonia e la Francia, però l'Italia deve essere il centro di eccellenza e il baricentro, in qualche modo, il fulcro della produzione europea di Stellantis di Vcl.

 

E l'auto?

Stiamo seguendo, insieme al ministero, l'attuazione del piano industriale di Stellantis, che ci è stato riconfermato pienamente dal nuovo amministratore delegato Antonio Filosa. Sappiamo che sarà rispettato. Potrebbero esservi anche sorprese positive. Un pezzo a Mirafiori, un pezzo a Melfi, dobbiamo veder ripartire la produzione in Italia. E in questa prospettiva, l'abbiamo detto chiaramente, i fornitori italiani devono avere una chance concreta. Non è pensabile che una piattaforma già pienamente ingegnerizzata si debba per forza portare dietro le scelte di componentistica fatte, per esempio, per la Francia. Poi, certo, la componentistica italiana sconta anche la sua piccola dimensione rispetto a una concorrenza globale fatta da giganti.

 

C'è un problema di dimensione e di competitività dell'industria della componentistica italiana?

Certo, ed è sempre più grave perché la competizione si sposta sempre più in alto. Quando si deve competere con chi può accedere a software e tecnologie a cui tu, invece, non hai accesso le cose si complicano, anche se sei bravissimo a fare le lavorazioni. E poi c'è un problema di dimensioni e di presenza internazionale. Vi sono situazioni in cui un gruppo preferisce scegliere un fornitore su base globale, che abbia la possibilità di produrre in Cina, in Europa e in Nordamerica. Questo è un problema. Anche se avessimo i volumi di produzione di veicoli che auspichiamo, resterebbe il tema della componentistica. In Europa stiamo facendo la battaglia per il local content e stiamo trovando un ascolto abbastanza buono da parte della commissione.

 

Ai tempi del governo Draghi fu lanciato un piano da un miliardo di euro all'anno per l'auto, di cui una parte destinata a incentivare la domanda e una parte destinata a riconvertire l'industria. Soldi che però non sono mai arrivati. L'anno scorso addirittura il governo ha tolto il tesoretto da 4,6 miliardi residui…

Con la promessa, però, che per qualunque necessità la filiera auto avrebbe avuto i fondi necessari. Ci fu spiegato che tecnicamente quei fondi, che pesavano sul bilancio dello Stato pur non essendo ancora stati erogati, dovevano essere stornati su necessità immediate, tra le quali la difesa. Con l'impegno, ripeto, a finanziare l'industria dell'auto nel momento in cui ne avesse avuto bisogno.

Però non è successo niente.

Di fatto no. Anche perché l'industria ha bisogno di imprenditori che vogliano investire e che vogliano fare attività di ricerca in Italia. E anche ammettendo di trovarli, resta il problema del finanziamento che evidentemente non può essere interamente a carico dello Stato. Qualche giorno fa il Ministero delle Imprese ha dato il via libera ai finanziamenti dei cosiddetti Accordi per l'innovazione, per i quali ci sono 731 milioni di euro del Fondo Crescita Sostenibile. La porzione più consistente di questa somma, pari a 530 milioni di euro, è stata riservata alle iniziative nelle aree di intervento dell'automotive e della competitività industriale nel settore dei trasporti, materiali avanzati, robotica, semiconduttori. Purtroppo, però, la dimensione limitata delle nostre aziende rende questi strumenti poco pratici. E poi le procedure necessarie per accedere a questi fondi sono troppo impegnative per la maggior parte dei nostri associati, non basta che i soldi siano messi a disposizione, devono essere anche facilmente accessibili. C'è un problema di complessità procedurale che andrebbe semplificata. Il governo si è impegnato in questa direzione, vedremo. Però siamo terribilmente lenti.

 

Sta dicendo che non siamo capaci di cambiare passo?

Non solo abbiamo perso contatto con il protone di testa, ma anche col protone di mezzo. E il ritardo aumenta, non li vediamo neanche più. Se poi non ci danno nemmeno la borraccia per cercare di recuperare… Se si va in Cina, in Corea, negli Stati Uniti, ci si rende conto del diverso passo e della diversa mentalità. È anche un problema culturale dell'ecosistema Europa, in cui non siamo abituati al rischio e a fare la differenza. Qualcuno ci penserà. Come disse Marchionne, c'era un lavoro importante da fare. Ciascuno poteva farlo, ma nessuno lo fece. Ognuno era sicuro che qualcuno lo avrebbe fatto, ma nessuno capì che nessuno l'avrebbe fatto. Finì che ognuno incolpò qualcuno per non aver fatto quello che ciascuno avrebbe potuto fare. Ecco, siamo messi un po' così. E non è un problema solo italiano. Adesso abbiamo anche istituito una nuova festività, quella di San Francesco. Ma come? La nostra produttività e competitività soffrono e noi aggiungiamo ulteriori costi da sostenere per le imprese?

 

A proposito di politica, due mesi fa le associazioni del settore hanno preso una posizione comune nei confronti della politica. È stata colta la portata del segnale, l'allarme che è stato lanciato?

No. La politica italiana, ma anche quella europea, non è consapevole del rischio esiziale che sta correndo l'automotive. Lo dimostrano misure come il recente bonus veicoli elettrici, sul quale come Anfia eravamo contrari, essendo nato da un fallimento sulle infrastrutture di ricarica. Ma come? Avevamo 700 milioni per le infrastrutture e non siamo riusciti a spenderli?

 

Però in poche ore sono stati “bruciati” quasi 600 milioni per acquistare 56 mila veicoli elettrici. Basteranno per accendere finalmente il mercato italiano delle Bev?

Rispetto al numero di auto elettriche vendute quest'anno i 55 mila voucher erogati saranno un boost notevole. Resta il fatto che gli italiani non hanno confidenza con l'auto elettrica e restano scettici nei suoi confronti. Anche per colpa delle concessionarie, che non le fanno provare. Oggi almeno il 45% di chi compra un'auto nuova in Italia a mio avviso potrebbe tranquillamente passare all'elettrico, ma ancora non lo sa.

Veniamo al 2035. Potrebbe cambiare qualcosa?

Prima di tutto è necessario aumentare i target intermedi delle emissioni di anidride carbonica. Altrimenti, finito il triennio di moratoria, è certo che le Case pagheranno le multe. Poi, prima del 2035, c'è il 2030, con un limite di 49,5 grammi/km di CO2 totalmente sproporzionato rispetto ai 93,6 del 2027. Come si fa a dimezzare in tre anni? Il valore corretto sarebbe tra 70 e 80 g/km. Per quanto riguarda il 2035, inoltre, è necessario che fino a un 25% di veicoli immatricolati dopo questa data possa essere alimentato da carburanti rinnovabili di origine non fossile. E bisogna spostare il termine del 2035 al 2040 monitorando ogni due anni l'andamento degli indici di elettrificazione e di decarbonizzazione, come già prevede il regolamento attuale. Infine, occorre un piano decennale di sostegno al rinnovo del parco auto europeo che dovrebbe riguardare almeno 3 milioni di veicoli all'anno, a scalare nell'arco di dieci anni, con un incentivo di 5 mila euro per sussidiare l'acquisto di mezzi a bassa o nulla emissione di CO2, quindi con neutralità tecnologica, con un local content europeo, in termini di componentistica, di almeno il 70-75%.

 

Un programma ambizioso. C'è una possibilità che possa essere adottato?

Dalla Commissione europea avremo probabilmente un'apertura ai biocarburanti e alle plug-in, che ancora oggi sono fortemente avversate da gruppi di pressione molto ideologizzati incapaci di capire che le Phev hanno una missione importante nella transizione, per quanto siano illogiche da un punto di vista ingegneristico. Però sono veicoli che possono assolvere a tutte le missioni, urbane ed extraurbane. Cento chilometri di autonomia in elettrico sono adatti alla maggior parte degli utilizzatori abituali dell'auto. Tra l'altro, sono veicoli necessari per mantenere in Europa una componentistica avanzata che serve anche in altre parti del mondo, che il problema del 2035 non se lo sono nemmeno posto. Nemmeno in Cina, dove sono molto pragmatici e dove hanno detto che sull'elettrico si andrà fin dove sarà logico andare.

 

Un anno fa parlavamo dei dazi sulle Bev di produzione cinese. Dopo 12 mesi che bilancio si può fare di questa iniziativa?

L'Italia, purtroppo, è stata molto leale nei confronti dell'Europa e ha firmato quel provvedimento. E i cinesi non lo dimenticano: ci chiedete di investire da voi, ma siete stati ostili con noi perché avete firmato i dazi, ci dicono. E invece la Spagna, che non aveva firmato, non appena si è aperta la possibilità di uno stabilimento Chery, ne ha approfittato. L'Italia, poi, sconta ritardi nelle infrastrutture e un alto prezzo dell'energia. Certo, chi viene da noi sa di trovare stile, design e cervelli. Poi però vai a vedere il costo della produzione… E i cinesi hanno, giustamente, una fissazione per i costi.

 

La delega fiscale è stata prorogata, due anni non sono bastati per esercitarla. C'è una speranza che si possa introdurre una leva fiscale per muovere il mercato?

Lo strumento per rimetterlo in moto potrebbe arrivare da Bruxelles sulle flotte. A condizione che non si aiutino con la leva fiscale solo le elettriche, altrimenti sarebbe un altro fallimento. E poi basta diktat. In ogni caso, siccome in Europa le flotte mediamente pesano il 50-60% delle immatricolazioni, se qualcosa, forse, in Italia si farà, sarà grazie a quella disposizione europea. Dico forse perché la certezza non ce l'abbiamo. Potrebbe essere un superammortamento o un aumento della deducibilità o della detraibilità dell'Iva. Restando sempre consapevoli che in Europa la normativa fiscale non è uguale dappertutto, in alcuni Paesi è più vantaggiosa rispetto all'Italia, ma in altri no. Attenzione, dunque, a chiedere la stessa fiscalità europea: si potrebbe persino peggiorare. Anche perché il governo non perde occasione per ricordarci che non ci sono soldi…




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