Ambiente, geoeconomia e industria devono andare per mano. Se uno di questi aspetti viene trascurato, gli effetti sono disastrosi e a dimostrarlo è la grave difficoltà in cui oggi versano alcuni dei settori chiave dell'industria europea, a partire proprio dall'automotive. Una crisi che dipende soprattutto dal modo in cui sono state impostate le politiche del Green Deal.
«L'Europa ha preso atto della situazione», spiega Marco Ferracin di Safe, l'hub italiano delle economie circolari, «e nell'automotive, così come in altri settori, inizia a porre l'autonomia strategica e la protezione dell'industria comunitaria al centro delle sue proposte su economia circolare e decarbonizzazione.
Esempi recenti di questo nuovo atteggiamento sono due. Il primo è la modifica al Regolamento europeo sulle batterie dello scorso luglio, che fa slittare in avanti di due anni gli obblighi delle grandi imprese vincolandole alle ragioni di opportunità legate allo scenario competitivo internazionale. Il secondo è il Regolamento sui veicoli a fine vita entrato in vigore a settembre: condiziona gli obiettivi di contenuto di plastica riciclata nelle nuove vetture alla sostenibilità dei suoi prezzi di mercato.
Insomma, gli obiettivi ambientali vanno perseguiti con forza e determinazione, ma tenendo conto della realtà operativa e di mercato, così come degli interessi nazionali e comunitari.
L'automotive lo richiede da tempo. Si veda per esempio l'Unrae, l'associazione dei costruttori esteri, che di recente si è rivolta alle istituzioni italiane sottolineando la necessità di considerare il rilancio del settore una priorità a livello nazionale: per le Case, i motori endotermici non andrebbero sacrificati in favore dei veicoli elettrici (che vendono poco), ma riconvertiti agli e-fuel e ai biocarburanti.
La via per la transizione verde, insomma, dev'essere sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Altrimenti non funzionerà.