Dieselgate, 10 anni dopo: lo scandalo che ha cambiato l’auto


Data inizio: 16-09-2025 - Data Fine: 16-11-2025


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Dieci anni fa, il 18 settembre 2015, l'EPA (l'ente federale statunitense per la protezione dell'ambiente) scrive a Volkswagen accusandola di aver truccato il software di controllo nei test sulle emissioni di alcuni motori a gasolio. È l'inizio del Dieselgate, lo scandalo che ha sconvolto il mondo dell'auto e che ancora oggi influenza regole, strategie e mercato. La notizia fa il giro del mondo: i tedeschi barano a casa altrui. Il risultato è un crack dalle ripercussioni globali che cambieranno il corso degli eventi successivi. “Stiamo reinventando il più grande costruttore di automobili europeo”, aveva detto qualche giorno prima l'amministratore delegato del gruppo Volkswagen Martin Winterkorn, annunciando al Salone di Francoforte il lancio di 20 modelli elettrici e ibridi plug-in entro il 2020. La violazione è “una minaccia alla salute pubblica”, replica la funzionaria dell'EPA Cynthia Giles. Winterkorn fa ammissione di colpa e si dimette.

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Fiducia a pezzi. Sui media lo chiameremo subito Dieselgate, anche se non ci sarà bisogno di “gole profonde” per capire come i tedeschi hanno disattivato i sistemi di controllo per poi pagare negli Stati Uniti e nel mondo qualcosa come 35 miliardi di euro fra multe, indennizzi e costi da richiami. Saltano come birilli ingegneri e manager, secondo la logica che in alto non si può non sapere. E deflagra soprattutto la fiducia, non solo verso il solido marchio tedesco, ma verso l'intera industria dell'auto che da cent'anni accompagna la nostra vita quotidiana. Serve rimettere insieme i cocci e in Europa succede quel che non è mai successo, finché le cose succedono: gruppo Volkswagen in testa, i costruttori si alleano con i decisori politici di Bruxelles per accelerare la transizione energetica in vista di una decarbonizzazione entro il 2050. Con fermata intermedia nel 2035, anno di bando dei motori endotermici in Europa. Nell'ottica del grande scandalo tedesco, è un po' come se l'elettrico diventasse la continuazione della guerra al diesel con altri mezzi.

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Fermi tutti. Non si arriva nemmeno a un lustro da quel 18 settembre che, nel gennaio 2020, il mondo si ferma per il Covid-19. Anche l'auto rimane parcheggiata e con essa il lavoro di troppe persone, i profitti degli azionisti e l'idea che la mobilità sia un valore decisamente più prezioso di una novità a motore, quale che sia. Tant'è che appena il mercato riparte, i costruttori approfittano dell'insufficienza dei chip a disposizione e dei tagli forzati alla produzione per imporre i “loro” prezzi. Lo dicono i consumatori, lo dicono i risultati finanziari stellari di diverse Case fra il 2021 e il 2023.

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Lettera morta. Eppoi il vento cambia ancora, come è sua natura. Il Dieselgate ha dato una spallata a favore dell'elettrico, ma l'Europa impegnata giustamente nel Green Deal non prepara adeguatamente il terreno: infrastrutture di ricarica, incentivi, fiscalità, normative, comunicazione non sono all'altezza. Lo scrive meglio l'ex banchiere centrale Mario Draghi in un rapporto sollecitato dalla Commissione europea e rimasto per ora lettera morta: “Il settore è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell'Unione e dell'applicazione di una politica climatica senza quella industriale”. Il regolamento AFIR impone colonnine ogni 60 km sulle principali arterie europee e pagamenti liberi via POS, ma la rete resta insufficiente. In Italia, la crescita è costante, ma lontana dagli obiettivi.

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Dalla difesa all'attacco. Nel frattempo, l'Europa dell'auto assomiglia sempre più a un castello medioevale sotto assedio. Da est i costruttori cinesi avanzano con i loro trabucchi elettrificati, da ovest l'America trumpiana ci cannoneggia con dazi bollenti, mentre nel nostro mondo di mezzo l'economia arranca con un Pil all'1% e nel Mediterraneo e ai confini orientali tutto brucia. Bruxelles introduce dazi fino al 38% per difendere i costruttori locali. Ma le tensioni commerciali restano alte. Al recente Salone di Monaco, i nostri hanno tentato una bella sortita per tentare di rompere l'assedio, mettendo in campo finalmente più coraggio oltre che investimenti. Il Dieselgate resta nella storia, ma sarebbe bene che, senza scambiarci per visionari, cominciassimo a considerare il futuro più reale del presente.

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