Roberto Pietrantonio è da otto settimane il nuovo presidente dell'Unrae. In questa prima intervista a Quattroruote.it commenta il calo del 5,1% delle immatricolazioni a luglio, parlando di "atmosfera cupa attorno al mondo dell'auto" e di "sofferenza strutturale del mercato italiano". La ricetta per uscirne? Cambiare narrazione, anche sulla transizione ecologica, incentivi stabili e semplici per i consumatori e una graduale riforma fiscale dell'auto aziendale.
Quello di luglio è il terzo calo mensile consecutivo. Che cosa succede al mercato?
C'è un'atmosfera cupa attorno al mondo dell'auto, c'è una sofferenza strutturale del mercato italiano che si tocca con mano e che non accenna a migliorare. Vari indicatori lo confermano, non solo i tre segni meno consecutivi o il confronto impietoso con il 2019. Lo indica chiaramente il canale dei privati, che nei primi sette mesi ha perso il 10,3% rispetto al 2024. È vero che l'anno scorso c'erano gli incentivi fino a 135 g/km di CO2 e che quest'anno, al contrario, sono stati annunciati, ma non ancora resi disponibili generando un classico effetto annuncio, però il dato è fortemente preoccupante.
Però gli incentivi 2025, ammesso che arrivino veramente a breve, saranno sulle auto elettriche, quindi rivolti a una nicchia di automobilisti…
Sì, ma i normali consumatori, che non sono addetti ai lavori, sentono in tv la parola incentivi e si mettono alla finestra. E anche chi ha compreso che andranno solo alle auto elettriche sa che, comunque, nel recente passato vi sono stati cambiamenti improvvisi e che, insomma, c'è sempre una speranza.
Resta la sensazione che il mercato italiano sia cambiato in maniera strutturale, che l'acquisto di una macchina nuova sia qualcosa di estremamente impegnativo che si cerca di rimandare il più possibile…
Io credo che molto sia dovuto all'incertezza. In Italia negli ultimi anni la politica ha preso decisioni ondivaghe e spesso contraddittorie che hanno generato confusione e un forte rumore di fondo che ha condizionato e continua a condizionare il mercato. Lo dimostrano i numeri. I Paesi che si sono allineati alla direzione imboccata dall'Unione europea oggi soffrono meno. Vi sono situazioni, penso alla Spagna, in cui il mercato sta correndo veloce. L'Italia è quintultima in Europa per immatricolazione di auto Bev e Phev, il 13,2% del Bel Paese nei primi sei mesi si confronta con il 36% del Regno Unito, il 28% della Germania, il 24% della Francia e il 20% della Spagna. È evidente che da noi non si sono creati i presupposti per i consumatori e per le aziende per abbracciare la transizione. Un percorso sicuramente impegnativo, non lo nascondo, ma una narrazione contraria non aiuta. E non fa bene, in generale, al sistema-Italia.
A proposito di sistema-Italia, Anfia parla di un calo della produzione di autovetture in Italia del 40%, che si aggiunge al -40% del 2024. Certo, la caduta è iniziata negli anni 90 ma i numeri di oggi certificano la fine dell'industria dell'auto di massa in Italia…
Sono dati che dimostrano quanto, invece, l'auto dovrebbe essere al centro del dibattito politico. Se invece si continua a demonizzarla il conto, alla fine, si paga anche in termini di produzione.
I giorni scorsi sono stati monopolizzati da due notizie: i dazi tra Stati Uniti ed Europa e la vendita di Iveco a Tata. Partiamo dai dazi. Qual è il messaggio che, alla fine, arriva al mercato?
Unrae è contraria ai dazi, che alla fine colpiscono sempre i consumatori e che, in questo caso, non farà bene all'industria europea. Il presidente americano Trump è stato molto abile a ipotizzare percentuali folli all'inizio per far digerire facilmente all'Europa il 15%.
Anche queste notizie contribuiscono ad alimentare il sentiment negativo che attanaglia il mercato dell'auto?
Certamente. Da molti anni l'auto è sulle prime pagine dei giornali, se ne parla nei telegiornali e purtroppo è sempre oggetto di una narrazione negativa. L'informazione non ha mai raccontato l'enorme evoluzione tecnologica, il miglioramento della sicurezza attiva e passiva, l'abbattimento delle emissioni e dei consumi. È chiaro che questa narrazione a senso unico non migliora la predisposizione all'acquisto.
La politica, poi, ci ha messo del suo. E non dall'annuncio del Green deal…
Sì, da noi ci sono sempre state fazioni. Non ci si è resi conto che andare contro l'auto tout-court o contro una tecnologia fa male, alla fine, a tutta l'industria. Bisognerebbe fare molta attenzione al tono di voce che si usa.
E della vendita di Iveco a Tata che cosa pensa?
È una storia triste. Da italiano, che pure rappresenta le Case estere, è una notizia che non avrei mai voluto sentire. Però anche questo epilogo ha origini lontane, da decenni assistiamo a multinazionali estere che fanno la spesa in Italia, che comprano il nostro know-how, la nostra cultura, la nostra professionalità, ciò che abbiamo costruito nel tempo.
Tornando al mercato, che cosa potrebbe giovare al settore?
Secondo me, tutto dovrebbe partire dalla volontà politica di rimettere l'auto al centro della discussione con una visione di medio-lungo periodo. Da una visione, poi, possono discendere azioni concrete, a partire da una narrazione positiva sulla transizione. In generale, bisognerebbe restituire semplicità, pensare a incentivi stabili e facilmente comprensibili nei confronti dei consumatori. E poi si dovrebbe mettere mano alla riforma fiscale dell'auto aziendale, che è il vero motore del mercato. In passato abbiamo proposto ricette complesse che implicavano scenari ipotetici di crescita poco compatibili con le logiche della Ragioneria dello Stato. Meglio partire da un'azione semplice come la revisione della deducibilità. Sarebbe un messaggio positivo alle aziende e consentirebbe di valutarne meglio gli eventuali benefici sul mercato e sull'economia.
Come si articolerebbe? In un aumento della soglia o in un aumento della percentuale? O in entrambe le cose?
Non abbiamo ancora formulato una nuova proposta. Stiamo iniziando a confrontarci con Anfia e Federauto per capire quale potrebbe la misura più facile da far passare e che abbia anche un effetto veloce e immediato sul mercato, rassicurando il governo sul fatto che, come dire, lo Stato non ci rimetta.
Tornando al mercato, avete abbassato le stime per fine anno…
Sì, considerata la previsione al ribasso degli studi econometrici in un contesto caratterizzato da grande incertezza abbiamo abbassato la previsione 2025 a 1.515.000 immatricolazioni, 25.000 in meno rispetto alla stima precedente. Significherebbe un calo del 2,8%, pari a 44 mila unità, sul 2024. Una torta sempre più piccola proprio nel momento in cui gli attori aumentano. Anche questo contribuisce a rendere meno attrattivo il mercato italiano.