Le dimissioni di Luca de Meo non sono un addio. Sono un messaggio. Luca de Meo lascia Renault, ma soprattutto lascia l'automobile. E forse, proprio per questo, il coup de théâtre rivela qualcosa che nessun altro ha il coraggio di dire. Perché proprio ora, dopo aver ricostruito uno dei gruppi più logorati del continente, con un piano strategico applaudito dalla critica e confermato dai numeri, De Meo se ne va per approdare a un universo più morbido come quello di Kering (così dicono le indiscrezioni dalla Francia)? Che bisogno c'era? Che fretta?
Forse il sospetto più fondato è anche il più inquietante: che De Meo si sia convinto che il sistema automobilistico europeo non si rialzerà più. Che l'automobile, come fenomeno sociale e industriale, sia stata esautorata dalle élite, umiliata dalla politica, sterilizzata dalla burocrazia. E che tutto questo si sia riflesso in un'irreversibile crisi esistenziale dell'intero sistema che ha come punto di partenza la delegittimazione dell'auto come simbolo. E senza simboli non c'è industria che tenga. In questo senso, il passaggio al mondo del lusso non sarebbe un tradimento, bensì un ritorno alla cultura. Perché la moda, il design, la bellezza — a differenza dell'auto — sono ancora autorizzati a parlare di sé senza colpa. L'auto no: deve giustificarsi, spiegarsi, scusarsi.
Ciò che ha spezzato il patto tra industria e società è stata la politica. Non la crisi climatica, ma la sua gestione punitiva e moralista. Non l'innovazione, ma l'obbligo univoco di accettarne solo una forma. E chi, come De Meo, ha provato a trattare — da dentro il sistema — si è accorto che il dialogo era chiuso. Che ogni richiesta di pragmatismo veniva letta come resistenza. E allora, meglio uscire in piedi che proseguire una guerra persa in partenza. È l'intelligenza di chi intuisce l'inizio della stagnazione, il rischio di diventare custode di un castello già costruito, mentre altrove si aprono nuovi spazi di influenza.
De Meo lascia una Renault rifondata. Ma resta una domanda che pesa su tutto il settore: se uno come lui se ne va, chi resta a crederci davvero?